Men ever will be sad and poignant till
They find rejoicing reason to cuckoo,
But then will they remember, or forget,
The heavy-hearted transients they were?
Slender enough she was to make him die,
So shameless, witless, reckless, foolish, stupid;
Until at dawn he woke, all senses stolen
By the true well-spring underneath a thorn,
Only rose of a world far past his reach.
This, for once, he could understand—the truth,
Saving the dreamer from his senseless life,
Spent bounty of a man pursuing virtue.
Yet virtue’s own reward was not enough.
The golden fluid, draining maple-syrup-
Like from his heart, sapped Alexander’s spirit,
Till, buckling on his armor, he cried out:
“Heavenly Father, I confess a kiss,
Her lissome arms entwined about my head.
Her beauty, dignity and gentleness
Cupping my soul within her reverence.”
Long lived he then, in feats of love and arms
Second to none, a paradigm of grace,
Until, again, the turning of the world
Brought sun to earth and darkness to the moon.
He woke to find her dead, oft in his thought.
End of a year, end of an age it seemed.
In that new light he lived for honor only,
Dwelt thus in virtue but had little joy.
Adam unparadised he thought himself.
Then, reconsidering once more his love,
He saw her flower in the April dew,
Whence, like a bell it chimed, “Noel, Noel,
Out of your sleep arise and out of hell.”
“Ah, lady, sister, mother, grant thy kiss,”
He pled, hot tears agleam in his bright eyes.
Whereat, with sternness, she did him rebuke:
“Thou silly sinner, dare not me denominate
With terms thy mental vacancy doth generate.”
Filled with remorse he felt the deepest wounds
And sent himself abroad to earn her trust.
Gli uomini sempre saranno tristi e violenti fino
A quando non proveranno a cantare come il cuculo,
Ma allora ricorderanno, o dimenticheranno,
La loro grave transeunte natura?
Lei era abbastanza esile da farlo morire,
L’uomo spudorato, sciocco, sconsiderato, stolto, stupido;
Finché all’alba si destò, depredato di ogni senso
Dalla vera fonte al di sotto di una spina,
Rosa ultima di un mondo ben al di là della sua portata.
Questo, una volta tanto, egli riuscì a capire—la verità,
Salvando il sognatore dalla sua vita senza senso,
Generosità consumata di un uomo che persegue la virtù.
Ma già il premio della sua virtù non fu sufficiente.
La resina dorata, fuoriuscendo come succo d’acero
Dal suo cuore, logorò lo spirito di Alessandro.
Così che, allacciandosi l’armatura, egli gridò:
“Padre celeste, io rammento il suo bacio,
Così le braccia flessuose avvinghiarono il mio capo.
Così bellezza, dignità e dolcezza
Spinsero l’anima mia alla venerazione.”
Visse allora lungamente fatti d’amore e d’arme,
Paradigma di grazia, secondo a nessuno.
Fino al giorno quando il nuovo mondo si volse,
Il sole venne alla terra e le tenebre alla luna.
La trovò morta al suo risveglio, incombente al suo pensiero.
La fine di un anno sembrò la fine di un’epoca.
In quella nuova luce egli solo visse per l’onore,
Non lasciò la sua virtù, ma non ritrovò la sua gioia.
Si vide come Adamo cacciato dal Paradiso.
Poi, ripensando ancora una volta al suo amore,
Gli riapparve quel fiore nella rugiada d’aprile,
E una campana risuonò: “Noel, Noel,
Svegliati dal tuo sonno ed esci dall’inferno.”
“Signora, sorella, madre, donami il tuo bacio.”
Implorò, calde lacrime inumidirono di luce i suoi occhi.
Ma con durezza colei lo rimproverò:
“Sciocco peccatore, non osare chiamarmi
Con parole generate dalla tua vacuità mentale.”
Il rimorso toccò le sue piaghe profonde:
Così uscì all’aperto per riconquistare la sua fiducia.
Poiché ho . . . incoscientemente accettato di tradurre (o “ri-creare,” per quanto possibile) un brano di Need, non farò altro che cercare di rendere conto della mia traslata lettura, almeno con riferimento a qualche verso esemplifi-cativo se non esemplare. Need. Necessità. Indigenza. Necessità nell’indigenza dello spirito? O della vita tout court? The heavy-hearted transients they were? È grave, pesante, insopportabile la transeunte natura dell’uomo. . . . La narrazione poematica in Need è chiarissima nella sua fluente evoluzione (o, meglio, circonvoluzione interiore, di conseguenza tutta affidata alla allegoria), ma pro-prio in questa fluenza si scatena una serie di microambiguità “cosmografiche” (Carravetta) che sovrappongono soggetti, tempi, figure, spazi. E lasciano la storia narrata nel “limbo delle storie” (“limbo” anche in senso neurofisio-logico). I richiami da Dante a Pound sono fin troppo facili : invenzione vision-aria e linguistica, plurilinguismi, viaggio senza ritorno, scoperta perpetua di un “tutto” che minaccia sempre di rivelarsi un “nulla”: nel pericolo, nell’indigenza, nella paura, la necessità di una guida; il trionfo vicino tanto quanto appare vicina la catastrofe. Il sovrapporsi dei paesaggi dell’anima (preferirei dire “mente”) e il confondersi dei rapporti fra significanti e referenti, sono comunque la marca primaria di questo discorso poetico (c’è un vero e proprio “discorso,” cosmologico, etico, oracolare, non privo anche di più o meno consce ironie nella ripresa di stilemi classici, trovadorici e neoplatonici). La cui lettura conduce senza ambiguità, invece, al massimo dell’ambiguo. Il poema senza inizio né fine, interminabile: esprimentesi in una sorta di Libro dei Libri. La Bibbia, i Veda, il Graal, le Odissee, i passaggi e i trapassi, nei Limbi delle illusioni totalizzanti. Così, nel breve brano qui ricostruito nella nostra lingua—che difetta assai d’ambiguità anche foniche, rispetto all’inglese o, ancor di più, all’americano—possiamo “con-fonderci” entro le “ennesime” dimensioni spa-ziali: una natura caduca, floreale e shameless, sottile per astuzia e fragilità; un leg-gendario deserto violato da inaspettate città (nel viaggio di Alessandro); splen-dori scenografici terrestri e paradisiaci; sistemi solari in rivoluzione; luoghi di morte, di sonno, di sogno. Un’istantanea immagine, nella “con-fusione” dei soggetti, delle specie naturali, dei sessi, dei protagonisti di storie evocate e non narrrate.
I primi due versi consistono in un’affermazione, ma subito con i due versi successivi si propone un interrogativo. L’uomo è un eroe o uno sciocco? Ruba la verità dai fiori e un fiore sarà la sua salvezza, o il suo rimprovero, il suo senso di colpa? La puntura di spina dell’ultima rosa. Ultima o sola? Il fiore è una donna? O il sesso della sua donna? O la purezza di una vergine? E chi è colui che consumò [la sua] generosità. . . perseguendo la virtù? L’eroe, il dannato, il Cristo? E quell’universo che si “rivolta” è il passaggio alla morte o alla vita? Nella “traduzione”—privi delle particolari qualità plastiche e sonore della lingua di origine—si è tentati di “spostare” alcuni significati da sensi certi a sensualità incerte. Si veda quel golden fluid, che si rappresenta in “resina,” fornendo alla resina il valore di un succo dorato, luminescente, comunque boschivo, forte-mente odoroso e acido, ancorché si tratti qui di un succo d’acero. Si veda wounds, letto come “piaghe” piuttosto che come “ferite”: poichè le ferite sono contingenti e si rimarginano ma, forse, mai si attenuano le piaghe del rimorso. O le eterne piaghe del Cristo, archetipi di ogni eroismo. E ancora ci si domanda: la donna dell’amore è anche la donna del rimprovero? Una guida, o due guide? Quella terrestre e quella celeste? Quella “morta” (her dead: “Lo fear the dead!” del Pound di No more?) o “l’eterna” la cui voce è quella di una campana: che suona per la morte o per la resurrezione? E c’è ancora l’ambiguità temporale, esplicitamente espressa: End of a year, end of an age it seemed. Un anno, quale anno, e quanto lungo: l’anno della gloria o della caduta?